lunedì 21 novembre 2011

Il Nuovo "Testo Unico" delle Acque



Prime riflessioni e commenti
Parte prima
Relazione tenuta al Convegno del 9 luglio 1999: Gli scarichi industriali e l'ambiente del 2000 dal dr. Alderano Mannozzi Direttore Generale della società ECOS srl
INTRODUZIONE
Sul Supplemento Ordinario alla Gazzetta ufficiale n° 124 del 29/05/99 è stato pubblicato il Decreto Legislativo n° 152 dell'11/05/99 dal titolo "Decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole"
Il Decreto 152/99 recepisce una lunga serie di direttive comunitarie in materia di acque ed ha assunto immediatamente un ruolo di primaria importanza in quanto con la sua emanazione sono state abrogate le seguenti norme :
  • Legge 10 maggio 1976, n. 319;
  • Legge 8 ottobre 1976, n.690, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L.10 agosto 1976, n.544;
  • Legge 24 dicembre 1979, n.650;
  • Legge 5/03/82, n.62, di conversione in legge, con modif. del D.L 30/12/81, n.801;
  • Decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n.515;
  • Legge 25 luglio 1984, n.381 di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 29 maggio 1984, n.176;
  • gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71 di conversione in legge, con modif. del D.L. 5/0290, n.16;
  • Decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n.130;
  • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.131;
  • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.132;
  • Decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.133;
  • articolo 2, comma 1, della legge 6/12/93, n. 502, di conversione in legge, con modif. del D.L. 9/10/93, n. 408;
  • articolo 9-bis della legge 20/12/96, n. 642, di conversione in legge, con modifi. Del D.L. 23/10/96, 552;
  • Legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 17/03/95, n.79.
Ebbene si, dopo 24 anni la legge 319/76 (meglio nota come Legge Merli) è stata abrogata!
In realtà la situazione non è così drammatica come sembrerebbe ad una prima lettura del decreto in quanto il Legislatore ha previsto modalità di applicazione che dovrebbero essere in grado di evitare traumi sia agli enti pubblici che alle aziende private.
In particolare l’art. 62 prescrive :



  • che le Regioni possono adeguarsi al decreto con un tempo "non inferiore a due anni",
  • che "Le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l'articolo 63 restano in vigore, ove compatibili con gli allegati al presente decreto e fino all'adozione di specifiche normative in materia"
In questa sede vogliamo mettere in risalto gli obblighi che la nuova legge pone in capo al "titolare" dello scarico sottolineando le principali differenze con la preesistente disciplina basata sulla Legge n° 319 del 10/05/1976.
La nuova disciplina degli scarichi idrici si basa su due presupposti fondamentali:
  • tutti gli scarichi debbono essere autorizzati (art. 45 comma 1) (concetto presente anche nella vecchia normativa)
  • tutti gli scarichi devono rispettare valori limite di emissione stabiliti in funzione degli obiettivi di qualità dei corpi idrici (art. 28 comma 1) (concetto del tutto nuovo e sul quale sono incentrate una serie di iniziative volte a capire prima la qualità dei corpi idrici ed il loro uso e poi ad autorizzare eventuali scarichi in detti ricettori)

Tale concetto, era stato in realtà già stato introdotto dalla Legge n° 183/89 e dal D Lgs n° 130/92, di fatto, non era stato mai applicato stante la rigida comodità della Legge 319/76 e delle sue tabelle A e C.
L’art. 2 del Decreto riporta una serie definizioni da applicarsi in materia di scarichi idrici tra le quali spiccano le nuove definizioni di acque di scarico:
  • g) "acque reflue domestiche": acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;
  • h) "acque reflue industriali": qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;
  • i) "acque reflue urbane": acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue civili, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento;

L'ammissibilità degli scarichi idrici nei possibili ricettori è disciplinata come segue:
  • 1. scarichi in pubblica fognaturaLe acque reflue domestiche e assimilate sono sempre ammesse, alla sola condizione di rispettare il regolamento del gestore dell'impianto di depurazione (art. 33.comma 2).
  • Le acque reflue industriali possono invece essere scaricate se rispettano i limiti di accettabilità ad eventuali ulteriori prescrizioni imposte nell'autorizzazione (art. 33 comma 1).
  • 2. scarichi in acque superficiali
  • Sono ammessi a condizione di rispettare i valori limite di emissione (art.31 comma 1)
  • 3. scarichi sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo
Sono vietati, con le seguenti eccezioni (art. 29. Comma 1):
  • scarichi per i quali sia impossibile o eccessivamente oneroso il convogliamento in acque superficiali
  • scarichi provenienti dalla Lavorazione/lavaggio di rocce e minerali

In via transitoria gli scarichi già autorizzati ai sensi della previgente normativa, e non ricadenti nei casi sopra citati devono essere convogliati in rete fognaria in acque superficiali, ovvero destinati al riutilizzo entro 3 anni dall’entrata in vigore della nuova legge (art. 29 comma 2).
Qualora ciò risultasse impossibile, o eccessivamente oneroso, occorrerà adeguarsi ai limiti della tabella 4 entro 3 anni dall'entrata in vigore della legge, rispettando nelle more i limiti di tabella 3 o eventuali limiti regionali più restrittivi (art. 29 comma 3)
Questo divieto di scarico nel suolo, di fatto , crea notevole danno alle aziende, ed in particolare quelle ubicate nella provincia di Teramo, in quanto ci risulta che era prassi consolidata da parte dell'ente pubblico di autorizzare lo scarico civile a condizione che venisse convogliato nel suolo mediante pozzi a dispersione.
4. scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee:
Sono vietati (art. 30 comma 1), con le seguenti eccezioni:
scarico nella stessa falda di provenienza di acque utilizzate per usi geotermici, di infiltrazione di miniere e cave, pompate nel corso di lavori di ingegneria civile, di impianti di scambio termico (art. 30 comma 2),

scarico in unità geologiche profonde di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi (art. 30 comma 3)

In via transitoria, gli scarichi già autorizzati ai sensi della previgente normativa e non ricadenti nei casi sopra citati, devono essere convogliati in acque superficiali, ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica entro 3 anni dall'entrata in vigore della nuova legge (art. comma 6)
Autorizzazione allo scarico
Tutti gli scarichi debbono essere preventivamente autorizzati (art. 45 comma 1), con la sola eccezione degli scarichi di acque reflue domestiche e assimilate in reti fognarie (art. 45 comma 4); che sono sempre ammessi.
Per insediamenti con scarichi di acque reflue domestiche e assimilate che non recapitano in reti fognarie il rilascio della concessione edilizia è comprensiva dell'autorizzazione allo scarico (art. 45 comma 4).
L'ente competente al rilascio delle autorizzazioni è il Comune per gli scarichi in pubblica fognatura e la Provincia, salvo diverse disposizioni regionali, per gli scarichi negli altri corpi ricettori (art. 45 comma 6)
Gli scarichi di acque reflue domestiche o equivalenti sono disciplinati dalla Regioni (art. 45 comma 3) che possono prevedere forme di rinnovo tacite delle autorizzazioni (art. 45 comma 7).
Il decreto specifica finalmente un termine per il rilascio delle autorizzazioni (90 giorni); termine non previsto dalla Legge 319/76, e quindi lasciato alla definizione da parte delle singole amministrazioni.
L'autorizzazione e valida per 4 anni e il rinnovo deve essere chiesto un anno prima della scadenza.
Se la richiesta di rinnovo è stata formulata entro tale temine, lo scarico può continuare anche in caso di ritardo dell'ente competente.
Se invece lo scarico contiene le sostanze pericolose di cui alle tabelle 3/A e 5, il rinnovo deve essere concesso entro 6 mesi a decorrere dalla data di scadenza; in caso contrario lo scarico deve cessare (art. 45 comma 7).
I titolari degli scarichi in essere, autorizzati alla data di entrata in vigore del decreto, provvedono a presentare l'istanza di autorizzazione come sopra indicato e comunque non oltre 4 anni da tale data (art. 62 comma11).


Fonte

mercoledì 20 luglio 2011

Trattamento delle acque reflue

Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un'acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici e/o inorganici.
Il trattamento di depurazione dei liquami consiste in una successione di più fasi (o processi) durante i quali, dall'acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate, concentrandole sotto forma di fanghi, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da essere idoneo allo sversamento in un corpo recettore (terreno, lago, fiume o mare mediante condotta sottomarina), senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell'ecosistema ad esso afferente).
Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più processi di natura chimicafisica e biologica.
I fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono subire anch'essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura o in un impianto di compostaggio.




Tipologia degli scarichi

Negli impianti di depurazione tradizionali, a servizio di uno o più centri urbani (impianti consortili) sono di norma trattate:
  • le acque reflue urbane o scarichi civili: comprendono le acque di rifiuto domestiche e, se la fogna è di tipo unitario, anche le acque cosiddette di ruscellamento. Le acque di origine domestica sono quelle provenienti dalle attività domestiche e dalla deiezione umana, queste ultime ricche di urea, grassi, proteine, cellulosa ecc. Le acque di ruscellamento cono quelle provenienti dal lavaggio delle strade e le acque pluviali. Contengono, in concentrazione diversa, le stesse sostanze presenti nei reflui domestici ma inoltre possono presentare una serie di microinquinanti quali gli idrocarburi, i pesticidi, i detergenti i detriti di gomma ecc.
  • alcune tipologie di acque di rifiuto industriale: gli scarichi industriali hanno una composizione variabile in base alla loro origine. Negli impianti di depurazioni tradizionali possono essere trattati solo quei reflui industriali che possono ritenersi assimilabili dal punto di vista qualitativo a quelle domestiche. Tali scarichi possono essere eventualmente sottoposti a pretrattamenti in ambito aziendale, prima del loro scarico in fogna, per rimuovere le sostanze incompatibili con un processo di depurazione biologica. Infatti alcuni scarichi industriali possono contenere sostanze tossiche o suscettibili di turbare l'evoluzione biologica e pertanto tali da compromettere il trattamento biologico che è alla base del sistema depurativo tradizionale. Gli altri scarichi industriali possono avere una natura tale da essere insensibili ai trattamenti biologici pertanto devono essere trattati in maniera diversa dirattamente nel luogo di produzione.


Classificazione dei solidi da rimuovere

Le acque provenienti da scarichi urbani contengono un elevato quantitativo di solidi di natura organica ed inorganica che devono essere rimossi mediante il trattamento di depurazione.
Tra le sostanze di natura organica fanno parte anche i microrganismi.
Le sostanze da eliminare si possono dividere in sedimentabili e non sedimentabili.
Le prime sostanze sono solide e più pesanti dell'acqua e perciò vanno facilmente a fondo quando la velocità del deflusso si annulla o scende al di sotto di un certo limite.
Le sostanze non sedimentabili in parte galleggiano e in parte restano nel liquido: disciolte o allo stato colloidale; lo stato colloidale si può considerare uno stato intermedio tra quello di soluzione e quello di sospensione propriamente detto.
In uno scarico di media forza, i solidi totali (espressi in mg/l) si possono così classificare:
  • solidi sospesi:30%; di cui:
    • solidi sedimentabili: 75% di cui:
      • solidi organici: 75%
      • solidi inorganici:25%
    • solidi non sedimentabili: 25%di cui:
      • solidi organici: 75%
      • solidi inorganici:25%
  • solidi filtrabili: 70%
    • colloidali: 10% di cui
      • solidi organici: 80%
      • solidi inorganici:20%
    • disicolti 90% di cui:
      • solidi organici: 35%
      • solidi inorganici:65%.


Impianti di depurazione


Immagine di un impianto trattamento acque reflue
Gli impianti di depurazione sono costituiti da una serie di manufatti in genere in calcestruzzo armato, ognuno con specifiche funzioni, nei quali viene attuata la depurazione degli scarichi di origine civile e industriale.
Solitamente in un impianto di trattamento delle acque reflue si distinguono due linee specifiche:
  • la linea acque;
  • la linea fanghi.
Nella linea acque vengono trattati i liquami grezzi provenienti dalle fognature e di regola comprende tre stadi, chiamati:
  • trattamento primario: un processo di tipo fisico utilizzato per la rimozione di parte delle sostanze organiche sedimentabili contenute nel liquame comprende la grigliatura, la sabbiatura, la sgrassatura, la sedimentazione primaria;
  • trattamento secondario: un processo di tipo biologico utilizzato per la rimozione delle sostanze organiche sedimentabili e non sedimentabili contenute nel liquame. Comprende l'aerazione e la sedimentazione secondaria:
  • trattamento terziario: realizzato sull'effluente in uscita dalla sedimentazione secondaria, permette di ottenere un ulteriore affinamento del grado di depurazione. Comprende trattamenti speciali per abbattere il contenuto di quelle sostanze che non vengono eliminate durante i trattamenti primari e secondari.
Nella linea fanghi vengono trattati i fanghi prodotti durante le fasi di sedimentazione previste nella linea acque.
Lo scopo di tale linea è quello di eliminare l'elevata quantità di acqua contenuta nei fanghi e di ridurne il volume, nonché di stabilizzare (rendere imputrescibile) il materiale organico e di distruggere gli organismi patogeni presenti, in modo tale da rendere lo smaltimento finale meno costoso e meno dannoso per l'ambiente.

Scarico in un fiume delle acque derivanti dal processo di depurazione.
L'effluente finale trattato viene convogliato in una condotta detta emissario, con recapito finale le acque superficiali (corsi d'acqua, mare, ecc.), incisioni o lo strato superficiale del terreno (es. trincee drenanti).
L'effluente finale può anche essere usato per l'irrigazione o nell'industria.


Riferimenti normativi

Attualmente la legislazione degli scarichi urbani in Italia, industriali o agricoli è disciplinata dal cd Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo n° 152 del 03/04/2006) agli artt. 100-108 "Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi".
Altre fonti normative sono:
  • Decreto Legislativo del Governo n° 152 del 11/05/1999: Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (Abrogato dal D. Lgs. 152/96).[1]
  • Legge Galli del 5 gennaio 1994, n.36: Disposizioni in materia di risorse idriche (Abrogata dal D. Lgs. 152/99).[2]
  • Deliberazione 4 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento - Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'art. 2, lettere b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall'inquinamento: Criteri generali per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici e per la formazione del catasto degli scarichi.[3] (Art. 62 comma 7 D.Lgs. 152/99: ”Per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n° 48 del 21 febbraio 1977”. Con l'abrogazione del D.Lgs. 152/99 permane la validità della Delibera del Comitato Interministeriale in quanto disciplinante tutto ciò che non era contenuto nel Decreto abrogato).


Dimensionamento


Modello in scala di un impianto di depurazione delle acque.
Un depuratore deve essere dimensionato in modo da ricevere gli scarichi del bacino da servire (abitato/i) per un periodo di 25-30 anni.
In genere è conveniente realizzare gli impianti in lotti funzionali successivi in funzione del concreto sviluppo delle utenze e degli allacciamenti fognari, tenendo anche conto dell'evoluzione della situazione urbanistica e demografica.
Per la progettazione non si può prescindere dalla conoscenza dei seguenti parametri:
  • carico idraulico: ovvero la quantità liquida delle acque da rifiuto in metri cubi emessi per giorno[4]. Per impianti industriali tale carico va calcolato tramite misure dirette considerando l'andamento temporale della portata di scarico - i picchi massimi derivati dalle ore a maggiore attività (dalle 09:00 alle 14:00 e dalle 20:00 alle 22:00), da eventi meteorologici particolarmente intensi, che si possono verificare in determinati periodi dell'anno - . Per gli impianti municipali o consortili in genere si ricorre a metodi di determinazione indiretta.
  • carico organico: è la quantità complessiva di sostanza organica da trattare espressa in BOD5 o COD presente in un metro cubo di refluo.
  • carico di nutrienti: è principalmente la quantità di azoto ridotto e secondariamente di fosforo presenti nel refluo da trattare.
  • studi sugli altri eventuali inquinati presenti (ad esempio oli, metalli pesanti o detersivi)
  • studi basilari su parametri che possono influenzare la forma degli inquinanti e il loro abbattimento (ad esempio pH, ossigeno disciolto, conducibilità e temperatura).
In generale il dimensionamento va fatto sulla base della conoscenza della dotazione idrica, e sugli abitanti equivalenti.
Se le sperimentazioni dirette non sono possibili o sono difficili da eseguire, si possono sfruttare tabelle di correlazione fra quantità di acqua prelevata dalla rete idrica e il carico idraulico e organico del refluo.

Schema di un canale scolmatore.
Nei sistemi a fognature unite (che in Italia sono la quasi totalità), in cui si ha un unico sistema di allontanamento delle acque nere e bianche, è importante considerare la possibilità di eventi meteorici intensi, associati a grandi quantità di refluo da depurare.
In tal caso, vista l'impossibilità di depurarla totalmente, viene predisposto, a monte dell'impianto, uno scolmatore, che consente solo ad un multiplo del refluo (considerato sulla base dell'inquinamento ammissibile da sversare nel bacino collettore) di entrare nel depuratore, dove a sua volta parte del refluo può essere depositato temporaneamente in vasche.
La quantità di acqua che si deciderà di scolmare dovrà essere tale da garantire l'auto depurazione nel recapito finale(ad esempio fiume o mare).


Trattamento primario o meccanico

I trattamenti primari consistono in:
  • grigliatura
  • dissabbiatura
  • disoleatura
  • equalizzazione e omogenizzazione
  • sedimentazione primaria
I primi tre sono considerati trattamenti preliminari o pretrattamenti previsti, quando necessario, a monte dei processi di depurazione veri e propri, e che permettono la rimozione di materiali e sostanze che per loro natura e dimensione rischiano di danneggiare le attrezzature poste a valle e di compromettere l'efficienza dei successivi stadi di trattamento.


Grigliatura

La grigliatura ha l'obiettivo di trattenere solidi grossolani non sedimentabili (stracci, plastica, ecc.) e solidi grossolani sedimentabili (ghiaia, ecc.)
La griglia/e viene sempre installata, con una pendenza 1:3, internamente al canale di arrivo all'impianto, alimentato dal collettore terminale della fognatura.
Tale canale in corrispondenza della griglia si allarga di una certa aliquota in modo che la velocità dell'acqua a valle, tenuto conto dell'ingombro delle sbarre, si mantenga prossima a quella che si ha nel tratto a monte della griglia.
La velocità di attraversamento della griglia non deve essere troppo bassa da favorire la sedimentazione a monte della stessa ma neanche troppo elevata per non incrementare le perdite di carico.
A seconda dell'interasse tra le barre, le griglie si suddividono in:
  • grossolane - interasse di 5÷10 cm;
  • medie - interasse di 2,5÷5 cm;
  • sottili - interasse di 1÷2,5 cm.
In base al sistema di pulizia vengono classificate invece in:
  • manuali: utilizzate principalmente per griglie grosse (poste in testa ai canali di by pass) e per piccoli impianti dove la quantità di solidi grigliabili è da ritenersi trascurabile e/o quando le operazioni di pulizia non risultano troppo onerose;
  • meccaniche: in tutti gli altri casi.
Il materiale grigliato è raccolto in un cassonetto per poi essere avviato allo smaltimento finale.
In associazione con la griglia possono essere utilizzati degli sminuzzatori che dopo aver triturato il materiale grigliato lo reintroducono a monte della griglia stessa.


Dissabbiatura

La dissabiatura viene prevista principalmente nel caso di fogne unitarie (nera+pluviale) per l'allontanamento di terricci che vengono convogliati in fogna, attraverso le catidoie pluviali, insieme all'acqua meteorica.
Sono necessari per evitare inconvenienti quali abrasioni nelle apparecchiature meccaniche mobili (es. pompe), intasamenti di tubazioni e canali, accumuli nei digestori e nelle tramogge delle vasche di sedimentazione, ecc. dovuti alla presenza di sabbie nelle acque reflue.
La dissabbiatura avviene in vasche dette dissabbiatori nelle quali si sfrutta la forza di gravità per eliminare tutte quelle particelle solide caratterizzate da un peso specifico maggiore di quello dell'acqua e tali da depositarsi sul fondo della vasca in tempi accettabili.
Poiché il materiale da separare è di tipo granuloso - cioè sedimenta senza interferire con le altre particelle e il moto del fluido è laminare - la velocità di sedimentazione delle particelle è regolata, in prima approssimazione, dalla legge di Stokes.
Tale legge presuppone che le particelle siano di forma sferica che il liquido sia in quiete e si trovi a temperatura costante e che il moto della particella verso il basso non venga influenzato ne dalla presenza di altre particelle ne dalle pareti del contenitore.
I dissabbiatori sono costituiti da vasche in calcestruzzo armato percorse dal liquame ad una velocità tale da provocare la decantazione dei materiali solidi trascinati in sospensione o per trasporto di fondo.
La funzionalità di un dissabbiatore è legata alla capacità di consentire, la sedimentazione dei materiali inerti di diametro superiore a certi valori, che la pratica indica in 0,2-2,5 mm, e limitare l'entità delle sostanze organiche che inevitabilmente assieme a questi decantano.
I dissabbiatori tradizionali sono quelli a canale nelle quali il liquame defluisce con flusso orizzontale.
Vengono sempre realizzati con unità in parallelo a funzionamento alternato in modo che il dissabbiamento non venga mai interrotto.
Sul fondo delle vasche è disposta una cunetta nella quale si accumulano i materiali sedimentati che vengono rimossi con unità di pulizia meccanica (per grandi impianti) o manuale (per piccoli impianti) con semplice paleggio o con getti di acqua che spingono i materiali in canaletti trasversali dai quali vengono poi convogliati in pozzetti di raccolta laterali.
Le vasche hanno pianta rettangolare con lunghezza da 15-20 volte la profondità della corrente.
Hanno sezione trasversale trapezia, rettangolare o più complessa.
Queste vasche devono essere proporzionate in modo tale che al suo interno il flusso del fluido, per qualsiasi valore della portata, deve avere una velocità media compresa tra 20–30 cm/s poiché per questi valori della velocità si è costatato che la quantità di materia organica e di materiali inerti che decanta risulta contenuta entro limiti accettabili.
Nel caso di portata in ingresso variabile, per mantenere la velocità del flusso costante spesso a nelle del dissabbiatore viene realizzata una strozzatura (modellatore a risalto oventurimetro a canale) di opportuna forma che può essere utilizzato anche per misurare la portata oppure viene utilizzata una vasca di equalizzazione che restituisce una portata costante.
Il dissabbiatore a canale ha inconveniente di assumere dimensioni spesso troppo ingombranti; in alternativa si possono utilizzare dissabbaitori a pianta circolare con fondo a tramoggia, di minore ingombro e configurati in modo tale da creare correnti trasversali secondarie (elicoidali, toroidali) che, sovrapponendosi alla corrente principale, favoriscono la concentrazione e la selezione dei materiali sedimentati.


Disoleazione


Separatore acqua-olio del tipo API
La disoleazione o sgrassatura viene introdotta nel ciclo depurativo, a valle delle griglie e dei dissabbiatori, quando sia accertato che oli e grassi siano presenti nei reflui in quantità tali da influenzare negativamente i trattamenti successivi soprattutto con riferimento ai trattamenti biologici.
Infatti le sostanze oleose tendono a rivestire, con un sottile velo, le materie biologiche impedendo così il contatto di queste con l'ossigeno e pertanto ne limitano l'ossidazione).
A volte la disoleazione ha lo scopo di recuperare gli oli e i grassi presenti nei reflui al fine del loro riutilizzo.
Negli impianto ordinari le modeste quantità di grassi e oli vengono in massima parte trattenuti dai paraschiume che si dispongono all'entrata delle vasche di sedimentazione primaria, donde vengo poi di tanto in tanto rimosse insieme con altre materie leggere solide, che hanno accidentamente attrvaersato i precedenti pretrattamenti, mediante schiumarole.
Il trattamento di disoleazione si fonda sul minor peso specifico dei grassi e oli rispetto all'acqua, che ne consente la risalita in superficie.
La disoleazione avviene in bacini aperti a sezione rettangolare o trapezia rovescia.
Dal fondo delle vasche viene insufflata aria compressa, tramite diffusori porosi.
L'aria insufflata forma un specie di emulsione con le sostanze grasse presenti nei liquami favorendo il loro allontanamento in superficie.
I grassi emulsionati sospinti verso l'estremità della vasca, vengono eliminati manualmente (piccoli impianti) o con dispositivi meccanici, scaricandoli ad intervalli in apposito pozzetto di raccolta.
Con la disoleazione il liquame subisce anche una pre-aerazione.


Equalizzazione ed omogeneizzazione

Qualora in ingresso all'impianto di depurazione si avesse una portata e/o un carico inquinante variabile, il liquame deve essere oggetto di un trattamento di:
  • equalizzazione per livellare le punte di portata;
  • omogeneizzazione per livellare le punte di inquinamento,
al fine di garantire ai successivi trattamenti di depurazione un liquame a portata e carico organico sufficientemente costanti.
In questo caso il liquame viene fatto confluire in una vasca di capacità tale da garantire lo smorzamento dei picchi idraulici e di carico organico.
Tale vasca di accumulo è dimensionata per garantire al liquame un idoneo tempo di residenza. Durante lo stazionamento nella vasca il refluo subisce un energico trattamento di agitazione, che garantisce l'omogeneizzazione del liquame, e di aerazione, per impedire l'instaurarsi di condizioni settiche.
La vasca di equalizzazione può fungere anche da dissabbiatore, infatti l'insufflazione di una blanda quantità di aria oltre a genera una miscelazione sufficiente a non far depositare le sostanze organiche sospese nel liquame e tale però da consentire la sedimentazione delle sabbie.


Sedimentazione primaria


Vasca di sedimentazione.

Schema di una vasca di decantazione a pianta circolare.
La sedimentazione primaria consiste in vasche nelle quali si attua la decantazione per la separazione delle sostanze organiche sedimentabili ottenendo una riduzione del BOD5 intorno al 30%.
Poiché in questa fase viene trattato un materiale di tipo granuloso, cioè la particella sedimenta senza interferire con le altre particelle, la velocità di sedimentazione del materiale obbedisce con discreta approssimazione allaLegge di Stokes e alla teoria di Hazen.
Le vasche di sedimentazione sono di regola poco profonde e comunque non meno di 1,80 m per evitare che il vento possa sollevare i fanghi già depositati.
Le vasche non devono essere né troppo corte, per non dar luogo ad un corto circuito tra l'entrata e l'uscita dei liquami (cioè evitare che parte dei liquami possa effettuare un percorso dentro la vasca diverso da quello previsto teoricamente con riduzione del tempo effettivo di permanenza), né troppo larghe per non favorire la formazione di spazi morti presso gli angoli (con innesco dei fenomeni putrefattivi).
Le vasche possono essere a flusso orizzontale e pianta rettangolare o flusso radiale o radiale/verticale e pianta circolare.
Nelle vasche circolari, i liquami bruti entrano al centro della vasca, e dopo aver superato un deflettore, l'effluente chiarificato esce superando uno stramazzo perimetrale e raccogliendosi in una canaletta prosegue verso il trattamento biologico.
Le vasche sono munite di dispositivi automatici per la raccolta e l'evacuazione dei fanghi.
Nelle vasche rettangolari questi dispositivi possono essere costituiti da un ponte mobile portante lunghi bracci snodati ai quali sono fissati raccoglitori.
Questi vengono tenuti a contatto del fondo quando il ponte si muove verso la tramoggia di raccolta del fango posta sul fondo della vasca, e si sollevano verso la superficie quando il ponte si muove in senso opposto.
Nel caso di vasche circolari il ponte ruota su un perno centrale e su una guida circolare periferica.
I raccoglitori assicurati al ponte spazzano il fondo e convogliano i fanghi verso il pozzetto centrale di raccolta da quale questi vengono aspirati ed inviati ai digestori.
Il trattamento primario può svolgere anche funzioni di equalizzazione e omogeneizzazione.


Trattamento secondario o ossidativo


Letto percolatore.

impianto a fanghi attivati con microbolle
Successivamente i liquami,ancora torbidi a causa delle sospensioni colloidali e putrescibili subiscono il trattamento secondario (o ossidativo o biologico), nel quale le sostanze organiche vengono prima ossidate, ossia rese imputrescibili, e successivamente rimosse.


Fase ossidativa

Durante l'ossidazione dei liquami le sostanze colloidali organiche sono rese fioccose per essere facilmente rimosse mediante sedimentazione Questo trattamento prevede:
  • aerazione: rimozione delle sostanze organiche tramite ossidazione batterica aerobica;
  • sedimentazione secondaria.
Per l'ossidazione biologica si utilizzano più tecniche:
Mediante l'aerazione (o ossidazione biologica), i solidi sospesi non sedimentabili e quelli disciolti biodegradabili vengono convertiti in fanghi sedimentabili e quindi separati mediante decantazione che segue sempre la fase di trattamento biologico vero e proprio. La sedimentazione secondaria ha il compito di eliminare i fanghi sedimentabili prodotti nella fase di aerazione.
I fanghi attivi di supero sono inviati alla cosiddetta "linea fanghi" per essere sottoposti ad ulteriori trattamenti.
Negli impianti a fanghi attivati si verifica talvolta l'inconveniente denominato bulking ossia il rigonfiamento del fango.
Quando il fango si ammala di bulking diventa inadatto alla sua funzione depurante perché perde le sue qualità adsorbenti ed ossidanti e sedimenta a stento.
Oltre al bulking il fango attivato può presentare altre patologie come il foaming, il pin point e il rising.
In sostituzione del trattamento ossidativo tradizionale a fanghi attivi si possono utilizzare le tecnologie MBR.


Sedimentazione secondaria

Poiché nella sedimentazione secondaria viene trattato un fango di tipo fioccoso (il fiocco di fango sedimenta interferendo con gli altri fiocchi), la velocità di sedimentazione del fango non obbedisce alla Legge di Stokes.


Trattamento terziario

Viene applicato all'effluente proveniente dal trattamento secondario, quando lo scarico finale deve subire un ulteriore abbattimento del carico inquinante, che altrimenti sarebbe incompatibile con il recapito finale prescelto; un esempio è la riduzione dei solidi disciolti o delle sostanze nutrienti (azoto e fosforo) che potrebbero causare l'eutrofizzazione e anossia dei corpi idrici recettori e di tossicità della vita acquatica.
Il trattamento terziario (o avanzato) consiste nell'eliminazione di azoto (denitrificazione) e fosforo (defosfatazione), che sono eutrofizzanti, nonché la riduzione dei solidi disciolti peradsorbimento su carbone attivo. Anche i trattamenti terziari possono essere di tipo biologico.
Fanno parte di questa fase:

Abbattimento dell'azoto totale

Nei sistemi più recenti, è presente un sistema di abbattimento delle sostanze azotate mediante denitrificazione che è causa della conversione dei nitrati, e di parte dei nitriti, in azoto gassoso.
La denitrificazione anossica, cioè in assenza di ossigeno disciolto, è un processo di natura biologica attuato dai batteri eterotrofi facoltativi, che richiede un ambiente anaerobio e molta sostanza organica che funge da fonte di carbonio per i batteri.
Durante la reazione si ha la formazione oltre che di azoto gassoso anche di anidride carbonica e acqua.
La vasca di denitrificazione viene posta a monte della vasca di aerazione del trattamento secondario, in modo da garantire liquami, provenienti dalle vasche di sedimentazione primaria, con la necessaria quantità di sostanza organica
Poiché però la maggior parte della sostanze organiche a base d'azoto nei reflui si trova sotto forma di ammoniaca, mentre ai fini della denitrificazione servono soprattutto i nitrati bisogna effettuare una nitrificazione mediante la quale, in condizioni aerobie avviene l'ossidazione biologica di NH4 e NO2 (nitrito) in NO3 (nitrato), con consumo di CO2.
, La nitrificazione viene attuata nella stessa vasca di aerazione del trattamento secondario.
L'ossidazione biologica viene attuata dai batteri autotrofi aerobici capaci di utilizzare per la sintesi cellulare carbonio inorganico (CO2) e di trarre l'energia necessaria alla crescita e al metabolismo dall'ossidazione dell'ammoniaca e poi dei nitriti secondo il seguente processo:
  • si ha nitrosazione ad opera di Nitrosomonas sp. che può ossidare l'ammoniaca a nitrito: NH4+ + 3/2O2 → NO2-+2H++H2O , ma non può completare l'ossidazione a nitrato;
  • segue la nitricazione ad opera di Nitrobacter sp. che ossida il nitrito a nitrato: NO2-+1/2O2 → NO3-.
La velocità di nitrificazione è dipendente dall'ossigeno disciolto.
A questo punto, l'acqua in uscita dal reattore aerobico, dove è avvenuta l'ossidazione delle sostanze organiche e la nitrificazione, viene messa in ricircolo e viene pompata a monte nella vasca anossica di denitrificazione, (processo Ludzak - Ettinger) dove ad opera di varie specie batteriche di eterotrofi facoltativi (fra cui Pseudomonas aeruginosaPseudomonas denitrifcansParacoccus denitrificansThiobacillus denitrifcans), che utilizzano di ossigeno contenuto nella molecola di nitrito e di nitrato per la respirazione in condizioni anossiche, si ha la liberazione di N2 sotto forma di gas.
Considerando nello specifico la denitrificazione attuata dai batteri (tra parentesi gli enzimi coinvolti):
  • nel citoplasma (nitrato riduttasi A): NO3 → NO2
  • nel periplasma (poiché si ha produzione intermedi gassosi che interferirebbero con le attività cellulari):
    • (nitrito riduttasi A): NO2 → NO
    • (ossido di azoto riduttasi): NO → N2O
    • (ossido di diazoto riduttasi): N2O → N2
L'azoto residuo in uscita dall'impianto è relativo a NO3 non inviato con ricircoli alla denitrificazione, alla frazione di N non nitrificata, alla frazione N disciolto o legato a solidi sospesi.
Esistono diversi altri processi di abbattimento dell'azoto quali:
  • * il processo Wuhrmann dove il reattore anossico è posto a monte di quello aerobico;
  • * il processo Bardempho che è una combinazione dei due precedenti essendo costiutito dalla seguente sserie di reattori: anossico - aerobico - anosrrico - aerobico.


Abbattimento dei fosfati

I sistemi di depurazione più avanzati prevedono anche l'abbattimento dei fosfati.
Il fosforo può essere presente in più forme: inorganica come ortofosfato (PO43-), fissato in composti cristallini a base di CaFeAl, oppure organica sotto forma di acido umicofulvico ofosfolipidi.
rispetto all'azoto il fosforo ha l'inconveniente di non poter essere ridotto in forma gassosa e liberato nell'atmosfera.
La concentrazione di fosfati è funzione anche dell'età del fango trattato infatti a seguito della lisi cellulare rapida si ha rilascio di fosfato.
In un impianto convenzionale a fanghi attivi si ha già una rimozione parziale del fosforo (20-30%), (per la riproduzione cellulare), ma con trattamenti specifici tale rimozione è quasi totale (90%).
L'eliminazione specifica del fosforo viene realizzata a seconda dei casi mediante un trattamento di tipo chimico-fisico o mediante un trattamento di tipo biologico (Biological Phosphorous Removal - BPR).
L'abbattimento mediante trattamento fisico - chimico avviene attraverso l'uso di sostanze precipitanti, che coagulano con i fosfati facendoli precipitare, e scuccessiva filtrazione su sabbia (o su teli o su dischi).
A tal fine vengono usati:
  • Sali di calcio (Ca(CO)3), che raggiunto pH 10 coagulano gli ioni calcio in eccesso con i fosfati per formare un sale detto idrossilapatite, cui segue una neutralizzazione per riportare il pH a livelli normali (7.5-8).
  • Allume e solfato di alluminio (AlSO4).
  • Solfato ferroso, solfato ferrico, o cloruro ferrico sono ampiamente usati facendo reagire gli ioni Fe3+ con aggiunta di calce che incrementa il pH facilitando la formazione del fosfato ferrico.
Il sistema chimico ha l'inconveniente di produrre una notevole quantità di fanghi.
Il sistema di defosforazione biologico, sfrutta l'intervento di batteri eterotrofi fosfo-accumulanti (Phosphorus Accumulating Organisms - PAOs)) come Acinetobacter species che tendono naturalmente ad accumulare fosforo, sotto forma di polifosfati, ma che se sottoposti a stati alternati di stress aerobico-anaerobico accumulano, molto più fosforo del necessario.
L'abbattimento biologico dei fosfati organici consiste in due fasi distinte: una aerobica e l'altra anaerobica.
Si parla di processo full stream o A/O (da Anaerobic-Oxic) se l'intera portata viene sottoposta al ciclo aerobico/anaerobico in questo caso si ha un sistema di trattamento a doppio stadio biologico:
  • il primo, in ambiente anaerobico, è condotto in un ABR (Anaerobic Baffled Reactor) costituito da tre comparti attraversati in serie dal liquame in trattamento dove avviene sia la separazione per gravità dei solidi sospesi sedimentabili di natura organica che la degradazione anaerobica di una parte della sostanza organica più facilmente degradabile;
  • il secondo, alimentato con l'effluente del primo stadio, è composto dall'unità di aerazione e dalla sedimentazione secondaria, utilizzate per sviluppare un processo a fanghi attivi mirato alla ossidazio ne combinata dell'azoto ammoniacale e del substrato organico.
Questo tipo di processo è finalizzato alla sola rimozione del fosforo.
Se a questo processo viene aggiunta una fase anossica, (A2/O da Anaerobic-Anoxic-Oxic) destinata alla denitrificazione, si può rimuove contemporaneamente anche l'azoto.
U processo di rimozione simultanea di azoto e fosforo è quello denominato Phoredox che è un processo di abbattimento di azoto tipo Bardenpho con un reattore anaerobico in testa.
Se viene trattata in anaerobiosi soltanto una frazione dei fanghi di ricicolo si parla di processo side stream.
Nella fase anaerobica i batteri sfruttano in mancanza d'ossigeno la polifosfatochinasi come riserva energetica per produrre poli-idrossibutirrato (BHP) ma per fare questo degradano i polifosfati presenti nelle loro cellule rilasciando quindi nell'acqua ortofosfati. In questa fase vi è il rilascio del fosforo nell'acqua e l'accumulo di PHB.
Durante al fase aerobica, i batteri, sviluppano un enzima (la polifosfatochinasi) che consente alle cellule si assumere gli ortofosfati presenti nell'acqua e rilasciati nella fase anaerobica in quantità molto superiore a quella necessaria come polifosfati, sotto forma di granuli di volutina, e allo stesso tempo per ricavare energia i batteri degradano il poli-idrossibutirrato (BHP) . In questa fase vi nell'acqua vi è una riduzione di fosforo nell'acqua e un consumo di PHB.
I batteri si accumuleranno poi nel sedimentatore secondario con i fanghi e verranno inviati con i ricircoli alla vasca di rilascio del fosfati.
Gran parte dei fosfati in verità viene rimossa attraverso il fango di supero, che li contiene in percentuali del 3÷6% sul totale di materia secca.
I principali vantaggi derivanti dalla rimozione biologica del fosforo sono ridotti costi chimici e minore produzione di fango rispetto alla precipitazione chimica.
L'abbattimento del fosforo può avvenire anche per mezzo di un trattamento terziario di fitodepurazione.


Disinfezione

La disinfezione serve ad abbattere i batteri (carica batterica) patogeni nell'effluente depurato.
Può avvenire tramite:
  • clorazione
  • ozonizzazione
  • attinizzazione
  • acido peracetico.


Clorazione

La clorazione è il procedimento più utilizzato per la depurazione microbiologica delle acque. Esso reagisce ossidando le sostanze organiche ed inorganiche e inattivando i microrganismi.
Il cloro è il disinfettante più usato nei trattamenti di disinfezione. Esso può essere impiegato sotto forma di ipoclorito di sodiobiossido di clorocloroammine, cloro liquido o gassoso (Cl2).[5][6]
Il cloro gassoso viene disciolto in acqua dove si dismuta in acido ipocloroso, un potente germicida, e acido cloridrico.
Il cloro può in presenza di ammoniaca dare origine a cloroammine primarie, secondarie o terziarie con efficacia germicida decrescente. La formazione di un tipo di ammine piuttosto che altre dipende dalla concentrazione di cloro: maggiore è questa, maggiore è la produzione di ammine terziarie con basso potere di disinfezione, in quanto queste si decompongono rapidamente.

Ozonizzazione

L'ozonizzazione è una tecnica di disinfezione delle acque che impiega ozono (O3) un gas prodotto mediante scariche elettriche ad alto voltaggio in una apposita camera nella quale viene fatto passare un flusso d'aria o di ossigeno: l'energia fornita consente ad una parte delle molecole d'ossigeno di essere scisse in due molecole omologhe dette radicali che sono particolarmente elettronegative, secondo la reazione:
O2 + energia → 2O•
Ciascun radicale andrà ad unirsi ad una molecola di ossigeno per dare ozono, una molecola trivalente molto aggressiva e instabile:
O• + O2 → O3
L'ozono ha elevata efficacia nei confronti di batteri e virus.


Attinizzazione

L'attinizzazione sfrutta l'azione battericida dei raggi UV-C I raggi UV sono emessi per mezzo di lampade a vapori di mercurio. Sono state create apparecchiature che trattano fino a 100 mc/ora di acqua con lampade U.V. con una potenza di 30.000 µW/sec/cm2. Si rarriunge un livello di qualità eccellente ma i costi sono elevati. L'uso di raggi UV consente la degradazione da parte degli stessi del DNA batterico. L'efficacia massima la si ha mediante l'uso di lunghezza d'onda (λ) intorno ai 250 nanometri corrispondente agli UV C e con una densità di flusso radiativo di almeno 6000 µW/cm2 (microWatt per centimetro quadrato). Poiché le lampade usate normalmente perdono efficacia nel corso del tempo si usano lampade con densità di flusso radiativo molto superiore. I raggi UV hanno un potere biocida elevatissimo nei confronti di batteri, spore, virus, funghi, nematodi.


Acido peracetico

L'acido peracetico è un potente biocida che basa la sua azione sull'alterazione di strutture cellulari come enzimi e membrane. Viene prodotto per reazione fra perossido d'idrogeno e anidride acetica. È particolarmente instabile pertanto viene commercializzato in soluzioni al 5% o 15% pronto per essere solubilizzato nelle giuste quantità nelle acque da depurare.


Meccanismi di disinfezione

Nella disinfezione risultano di fondamentale importanza due concetti:
  • la concentrazione del disinfettante
  • il tempo di permanenza del disinfettante a contatto con il refluo


Trattamento dei fanghi di depurazione

Si passa poi al trattamento dei fanghi (o linea fanghi).
L'obiettivo primario del trattamento dei fanghi è quello di stabilizzare le sostanze organiche in modo da rendere minimo il costo del relativo smaltimento finale senza creare problemi all'ambiente.
I processi di trattamento dei fanghi sono di tipo chimico, biologico e fisico/termico e possono essere suddivisi in due grandi categorie:
  • processi di separazione che hanno lo scopo di allontanare parte della frazione liquida dalla frazione solida dei fanghi;
  • processi di conversione che hanno lo scopo di modificare le caratteristiche di fanghi per facilitarne i trattamenti successivi.
I trattamenti utilizzati comunemente possono appartenere o ad una sola delle due categorie (es. condizionamento) o ad entrambe contemporaneamente (es. incenerimento).
I principali trattamenti dei fanghi sono:
  • Ispessimento
  • Condizionamento
  • Stabilizzazione biologica
    • digestione aerobica
    • digestione anaerobica
  • Disidratazione
    • Disidratazione per essiccamento naturale su letti drenanti
    • Disidratazione per filtrazione meccanica (filtropressatura, nastropressatura)
    • Disidratazione per centrifugazione.


Tipologia dei fanghi

I fanghi generati dalla linea acque di un impianto di depurazione tradizionale possono essere:
  • fanghi primari: fango derivante dal processo di sedimentazione primaria; sono costituiti da sostanza organica fresca che si separa dal liquame grezzo senza aver subito alcun trattamento (fanghi granulosi). Contengono una quantità di solidi pari al 4% (96% di umidità), questi si degradano più rapidamente anaerobicamente rispetto alle altre tipologie di fanghi e producono più biogas;
  • fanghi secondari o biologici: fango derivante dai processi di ossidazione biologica: filtri percolatori o fanghi di supero di impianti a fanghi attivati. Sono fanghi fioccosi e hanno una percentuale di solidi più bassa di quella dei fanghi primari, con valore tipico pari a 1% (99% di umidità), ma sono più ricchi di azoto e fosforo;
  • fanghi chimici: fango derivante da processi di chiariflocculazione.
Di norma alla linea fanghi arrivano fanghi combinati primari+secondari i quali presentano una elevata umidità, pari al 96-99 %.
Questa umidità deve essere rimossa dal fango per consentire il suo smaltimento finale senza danni ambientali e con minor costo possibile.


Addensamento fanghi

L'addensamento ha lo scopo di concentrare i fanghi e di ridurne i volumi a favore dei trattamenti della linea fanghi previsti a valle.
L'ispessimento ha la funzione di eliminare in grande quantità l'acqua contenuta nei fanghi provenienti dalla sedimentazione primaria.
La flottazione è un procedimento analogo all'ispessimento riguardante però i fanghi di esubero provenienti dalla sedimentazione secondaria.

Digestione o stabilizzazione biologica


Un digestore.
È un complesso di processi metabolici attraverso i quali il contenuto organico putrescibile dei fanghi, provenienti dalle vasche di sedimentazione primaria e secondaria, viene trasformato in sostanze stabili più semplici.
La digestione può essere di due tipi:
I manufatti dove avviene la digestione sono chiamati digestori.
Il fango proveniente dai processi di digestione ha caratteristiche tali che è possibile il suo smaltimento per lagunaggio o per spandimento sul terreno.
Questi metodi di smaltimento richiedono però di poter disporre di grandi estensioni di terreno e necessitano di controlli accurati, per evitare fenomeni di inquinamento ambientale.
Questo tipo di smaltimento è meglio adatto per piccoli impianti e quando non è necessario trasportare il fango stesso in località lontane dal luogo di produzione.
Per grossi impianti di trattamento è consigliabile invece sottoporre i fanghi a processi di disidratazione (preceduto da un condizionamento se la disidratazione è di tipo meccanico) o di essiccamento, seguiti se necessario da un processo di incenerimento


Condizionamento

Si utilizza prima di un trattamento di disidratazione meccanica e serve a migliorare le caratteristiche di filtrabilità dei fanghi.
Il condizionamento può essere:
  • chimico
  • fisico: in più efficace è il metodo termico
  • organico.


Disidratazione o essiccamento

Serve a ridurre il contenuto di acqua dei fanghi digeriti.
La disidratazione può essere naturale o meccanica:
  • nel primo caso si parla di letti di essiccamento;
  • nel secondo caso di filtrazione (filtropressatura, nastropressatura, filtrazione sottovuoto) e centrifugazione.
Un ulteriore trattamento di disidratazione dei fanghi digeriti può essere il trattamento termico:


Schema di linea fanghi

Una schema di linea fanghi di un depuratore può essere costituita dalle seguenti sequenze di operazioni:
I fanghi primari provenienti dalla sedimentazione primaria e quelli secondari prelevati dai sedimentatori secondari vengono vengono omogeneizzati al fine di rendere uniforme la loro composizione prima di inviarli ai trattamenti successivi.
Questo mescolamento può essere effettuato in diversi modi come ad esempio mediante idonei recipienti nei quali fanghi vengono mescolati mediante mezzi meccanici o per insufflazione di aria.
Per ridurre il tenore di acqua i fanghi omogeneizzati vengono sottoposti ad un pre-ispessimento prima di subire una stabilizzazione anaerobica o aerobica mediante digestione al fine di abbattere la carica microbica dei fanghi.
I fanghi digeriti subiscono un post ispessimento per ridurre ulteriormente l'umidità e successivamente un condizionamento per aumentare la disidratabilità nel caso di disidratazione meccanica.
Il liquido originato dal ciclo di trattamenti di riduzione del contenuto di acqua vine reimmesso nella linea acque per essere ulteriormente trattato.
Dopo il ciclo di trattamento i fanghi disidratati e digeriti sono pronti per lo smaltimento.


Smaltimento

I fanghi trattati, possono essere smaltiti nel seguente modo:
  • per incenerimento;
  • in discariche controllate di rifiuti speciali;
oppure riutilizzati:
  • sul suolo adibito ad uso agricolo;
  • sul suolo non adibito ad uso agricolo;
  • in impianti di compostaggio;
In Italia i fanghi vengono smaltiti principalmente in discarica (55%) e in parte riutilizzati in agricoltura (33%).


Riutilizzo in agricoltura

L'allegato C del D.lgs n.152/2006 consente lo spandimento dei fanghi sul suolo a beneficio dell'agricoltura e dell'ambiente.
Sempre a scopi agricoli, il fango proveniente dai depuratori può essere, prima del suo utilizzo, trattato insieme ai rifiuti solidi urbani nei normali impianti di compostaggio.
Per essere utilizzato in agricoltura il fango deve essere preventivamente sottoposto a trattamenti opportuni finalizzati alla riduzione della putrescibilità e dei microrganismi patogeni.
Inoltre i fanghi devono contenere idonee percentuali di azoto, fosforo, sostanze organiche e altri micronutrienti.
Infine le percentuali di metalli pesanti (specialmente cadmio e piombo) deve essere nei limiti previsti dal D.gls n.99/92